da “La Repubblica”
“Gli chiesi se la magistratura era informata e rispose di no” di FRANCESCO VIVIANO e ATTILIO BOLZONI
L’ex presidente della Camera Luciano Violante
Parola di Luciano Violante. È stata questa la sua deposizione ai magistrati di Palermo che indagano sulla “trattativa” fra Stato e Mafia. È questo un punto cruciale di quell’impasto di diciassette anni fa fra i Corleonesi e i servizi segreti. Chi aveva “autorizzato” ufficiali dell’Arma dei carabinieri a venire a patti con Cosa Nostra? Chi aveva dato il nulla osta per avviare un negoziato con Totò Riina ancora latitante? Era già stato ucciso Giovanni Falcone, il 23 di maggio. Avevano già fatto saltare in aria Paolo Borsellino, il 19 di luglio.
Quest’altro “pezzo” di verità l’ha rivelata Luciano Violante nella sua testimonianza – giovedì scorso – ai procuratori Antonio Ingroia, Nino Di Matteo e Roberto Scarpinato. Il suo verbale di interrogatorio è stato depositato da un paio di giorni nel processo contro il generale Mori “per la mancata cattura di Bernardo Provenzano”, un altro mistero di mafia, un altro giallo siciliano con protagonisti uomini dei reparti speciali dell’Arma dei carabinieri. Quella di Violante è una testimonianza che oramai è diventata pubblica e che ricostruisce uno dei tanti momenti oscuri – secondo la versione fornita dall’ex presidente parlamentare, naturalmente – di quell’estate siciliana del 1992.
L’inizio della vicenda è nota. Massimo Ciancimino, il figlio prediletto di don Vito, ha raccontato ai magistrati che suo padre – già in contatto con l’allora colonnello dei Ros Mario Mori e il suo fidato capitano Giuseppe De Donno – “voleva che del “patto” fosse informato anche Luciano Violante”. Il resto l’ha messo nero su bianco l’ex presidente dell’Antimafia nel suo interrogatorio.
Fu a quel punto che Violante chiese se la magistratura fosse informata di questa voglia di “parlare” dell’ex sindaco di Palermo. Fu a quel punto che l’ufficiale dei carabinieri pronunciò quelle parole: “Si tratta di cosa politica… di una questione politica”.
Se le cose sono andate veramente così si rimettono in gioco gran parte delle “certezze” investigative acquisite fino al 2004 fra Palermo e Firenze, la città dove si è celebrato il processo per le stragi mafiose in Continente del 1993. Fino a quella data, il 2004, indagati per la cosiddetta “trattativa” e per aver veicolato il “papello” (le richieste dei Corleonesi per fermare le stragi) c’erano soltanto Totò Riina, il suo medico Antonino Cinà e il vecchio Ciancimino. Tutti e tre mafiosi.
Lo scenario che affiora dalle nuove testimonianze – fra Palermo e Caltanissetta non c’è soltanto quella di Luciano Violante – e dalle nuove indagini scopre l’esistenza di un patto cercato da diversi protagonisti e a più livelli. Non c’è stato solo e soltanto Mario Mori dei Ros. C’è stato anche quel “Carlo” che frequentava don Vito da almeno quindici anni, un agente segreto che il “papello” di Totò Riina l’ha avuto materialmente nelle mani. E, a quanto pare, adesso, ci sono “mandanti” politici che quella trattativa volevano a tutti i costi. La vera svolta sui massacri siciliani del ’92 ci sarà pienamente solo quando i magistrati identificheranno quegli altri nomi, i nomi di chi aveva approvato o addirittura suggerito di mercanteggiare con i boss.
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